Farine e semi: impariamo a fare il pane

Farine e semi

I cereali, appartenenti alla famiglia delle Graminacee, sono costituiti da un gruppo molto vasto che comprende moltissime varietà e sottovarietà, inoltre anche prodotti che non appartengono direttamente a questa famiglia botanica (amaranto, quinoa, grano saraceno), vengono considerati e usati come tali.
I cereali vengono consumati soprattutto sotto forma di sfarinati e più marginalmente in chicchi e in fiocchi.
La raffinazione è per lo più effettuata allo scopo di aumentare la conservazione, la versatilità e l’aspetto. Non tutti sanno però che questo tipo di lavorazione elimina una quantità non indifferente di vitamine, sali minerali e fibre.
L’European Cancer Prevention Group ritiene che un elevato consumo di cereali ricchi di fibre aiuti a prevenire il cancro del colon e del retto.
Nonostante i cereali siano spesso venduti già puliti è sempre meglio praticare un ulteriore lavaggio sotto l’acqua corrente prima dell’utilizzo.
Le farine possono essere ottenute con vari metodi, il più tradizionale è la macinazione con mole in pietra, una tipologia di lavorazione molto delicata che impedisce il surriscaldamento degli sfarinati.
La macinazione a pietra, frantuma i chicchi non in maniera omogenea, ma lasciando grossi granuli disuguali (caratteristica che conferisce agli sfarinati un basso indice glicemico).
Il metodo più comune è la macinazione a cilindri con laminatoi, dedicata per lo più alla raffinazione delle farine. Questo metodo, a differenza di quello a pietra, è progettato per isolare nei migliori dei modi l’involucro corticale (la crusca del chicco) in modo da separarlo senza che eventuali frammenti possano superare le tele di setacciature e impedire la raffinazione ottimale. Un metodo maniacale che, se da un lato crea farine con attitudini panificatorie eccellenti, dall’altro ne peggiora notevolmente le proprietà nutritive.
In alcuni paesi per sopperire a questo deficit è diventato obbligatorio integrare le farine con calcio, ferro, vitamina B1 e B3.
Nell’industria molitoria di parla di abburattamento, cioè della percentuale di farina estratta da un chicco. La “resa” insomma. L’analisi delle ceneri di una farina è quindi una misura dell’abburattamento ottenuto. La legge italiana classifica le farine di grano tenero nei tipi 00, 0, 1, 2 e integrale.
La farina di grano tenero è composta per la maggior parte da amido (64%-74%) e proteine (9%-15%), principalmente glutenina e gliadina. Queste, a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro e formano un complesso proteico chiamato glutine, creando una specie di maglia elastica. Il glutine assorbe una volta e mezzo il suo peso in acqua e durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito. La percentuale relativa di gliadine e glutenine determina le proprietà dell’impasto: le glutenine lo rendono tenace ed elastico mentre le gliadine lo rendono estensibile.

Tipo di FarinaUmidità maxCeneri minCeneri maxProteine minAbburattamento
00 14.50% 0.55% 9.00% 50%
0 14.50% 0.65% 11.00% 72%
1 14.50% 0.80% 12.00% 80%
2 14.50% 0.95% 12.00% 85%
Integrale 14.50% 1.30% 1.70% 12.00% 100%

Il grano, proveniente dai centri di produzione, viene immagazzinato in silos capaci di contenere scorte di grano sufficienti per più mesi di produzione, e nei quali si procede alla pesatura e a una prima grossolana pulitura. Dopo aver subito vari trattamenti per l’eliminazione di alcuni microrganismi dannosi (batteri, funghi ecc.), il grano passa dai silos al mulino ove subisce una pulitura per via secca per eliminare paglia, semi di altri cereali ecc., e una pulitura per via umida per eliminare polvere e materie estranee di densità inferiore a quella del grano (grani cariati o vuoti, pule ecc.). I chicchi così puliti sono inviati alla colonna essiccatrice ove incontrano una controcorrente di aria calda che li asciuga. Prima di effettuare la macinazione il grano passa nelle spuntatrici e nelle spazzolatrici per l’eliminazione delle barbette e della superficie corticale. Esistono altri tipi di macinazione dedicati alla lavorazione di prodotti come legumi, semi oleosi e spezie.

I tipi di farina di grano e i rispettivi utilizzi

A seconda della parte di grano che viene macinata, e non solo, si possono ottenere diversi tipi di farine, usate per scopi diversi:
farina di grano tenero: viene usata per pane e dolci, pizze, pasta fresca e all’uovo.
farina 00, o fior di farina: derivata dalla prima macinazione dell'endocarpo, la parte più interna del seme del grano. E' molto bianca poiché non contiene né semola né crusca (ovvero la pellicola che ricopre il seme) è povera di sali minerali, vitamine e fibre, ma ha quasi esclusivamente amido e poche proteine. Viene usata per pasta fresca o pasta all'uovo, dolci, besciamella.
farina 0: farina di prima scelta, contiene molto amido e poche proteine, ha più glutine rispetto alla farina 00. Viene usata per pane.
farina 1 e farina 2: meno bianche poiché più ricche di crusca. Vengono usate per pane e pizza.
farina integrale: prodotta dalla macinazione di tutto il germe, compresa la crusca esterna.
E' per questo più completa a livello nutrizionale ed è facile da digerire, ma assume un colore scuro. Viene usata per pane, brioches.
farina di manitoba: ottenuta dal grano tenero, prende questo nome dall'omonima provincia del Canada in cui era inizialmente molto diffusa la coltivazione. E' un farina speciale, una farina forte, adatta ad impasti molto più compatti, spesso utilizzata in Usa o in ricette americane. Viene usata per baguette francese, panettone, pandoro, colomba pasquale, pizza, chapati indiano (pane tipico).
farina di farro: cereale da cui è nato il frumento. Viene usata per pane (dal gusto più aromatico).
farina integrale di farro e di farro spelta: contiene molte fibre ed è per questo di colore scuro. Viene usata per pane aromatico, ciambelle, biscotti.
farina di grano duro: una varietà diversa di grano, viene usata per pasta e alcuni tipi di pane.
farina di semola (grano duro): ottenuta dalla macinazione del grano duro, ha una grana non fine, ma grossolana, di colore giallo ambrato. Viene usata per pane, pasta, dolci tipici.
farina di semola rimacinata (grano duro): viene usata per pane, soprattutto quello tipico del sud Italia, come il pane pugliese di Altamura.
farina di Kamut®: questo antico antenato del grano, nonché marchio registrato dall'americana Kamut International, è un grano duro, che contiene proteine e aminoacidi in gran quantità, così come vitamine e minerali come zinco, magnesio e selenio. Rispetto al frumento risulta più digeribile e molto energetico, attenzione però che contiene glutine. La farina ha un colore sul giallo scuro ed un gusto burroso, assomiglia vagamente al semolino. E’ usata per pasta e prodotti forno.
farina di grano saraceno: non è un cereale, è di colore grigio con punte nere, ha gusto amarognolo simile a quello delle noci e non contiene glutine, per questo viene spesso utilizzata in sostituzione alla farina di grano. Viene usata per pizzoccheri valtellinesi, polenta taragna.
farina amaranto: da grano amaranto, non è un cereale.
farina di patate o fecola di patate: è in realtà un amido, molto utilizzata come addensante o per dare sofficità ai dolci.*
maizena: è in realtà un amido, deriva dal mais, molto utilizzata come addensante o per dare sofficità ai dolci.*
farina di manioca o tapioca: dal nome dell'omonimo tubero, molto utilizzata come addensante per salse.*
* queste farine sono amidi, che assorbono l'acqua e per questo vengono spesso usati come addensanti nella preparazione di salse, preferite alla farina di grano poiché donano un colore chiaro e non alterano il gusto.
farina di mais: dai nomi diversi a seconda della macinatura, la più fine è chiamata fumetto di mais, poi c'è la fioretto, la farina bramata, ovvero a grana grossa, farina taragna, unione di farina di mais e farina di grano saraceno, molto grezza. La cottura di questa farina dipende da quanto è macinata, più è fina e minore sarà la cottura. Non contiene glutine, ma è povera in proteine. Viene usata per pane giallo, polenta, crêpes, tortillas messicane, dolci.
farina di castagne: di color grigio marrone, ha un sapore dolce ed è senza glutine. Viene usata per castagnaccio, necci toscani, polenta dolce.
farina di noci: viene usata per dolci.
farina di cocco: viene usata per dolci.
farina di liquirizia: viene usata per dolci.
farina di riso: dal sapore molto delicato, c'è anche integrale ed ha un alto valore nutritivo, proprio come il riso. Viene usata per pane, biscotti, cracker, grissini, gallette ed è molto diffusa nella cucina orientale.
farina di segale: viene comunemente utilizzata in unione con la farina di frumento. Viene usata per pasta aromatica, pane misto o integrale.
farina di orzo: si ricava dalla cariosside, non contiene glutine e viene solitamente utilizzata con farina di frumento, spesso manitoba. Viene usata per prodotti da forno dolci e salati, pasta fatta in casa come tagliatelle o gnocchi.
farina di avena: ha un alto contenuto di vitamina e zinco. Viene usata per dolci, zuppe.
farina di teff: un cereale dell'Africa orientale. Viene usata per enjera etiope, una crêpe acidula che è la base di molte pietanze e serve anche a portare il cibo alla bocca.
farina atta: farina integrale di grano, largamente utilizzata nella cucina indiana. Viene usata per roti o chapati.
farina tang: farina di grano diffusa nella cucina cinese. Viene usata per gnocchi e pane dolce.
Ci sono molte altre tipologie, meno diffuse e conosciute, ma comunque usate, come le farine di legumi (ceci, fave, piselli, fagioli, soia) o farine di tuberi.

Indicatore W: la forza della farina

Nella scelta e acquisto della farina un'altra proprietà che è meglio conoscere e di cui dobbiamo tenere conto è la cosiddetta forza della farina, o fattore di panificabilità, la quale è legata al contenuto di proteine e il cui simbolo indicatore è W. Più questo fattore è elevato e migliore sarà la panificazione, poiché le farine forti assorbono più acqua, rendendo resistente l'impasto, che permetterà quindi una maggiore lievitazione, evitando lo sgonfiamento.
Ecco indicativamente le proprietà W delle farine e quando utilizzarle:

  • fino a 170W deboli: per biscotti, cialde, grissini, dolci friabili
  • da 180W a 260W medie: per pane francese, pane all'olio, pizza, pasta
  • da 280W a 350W forti: pizza, pasta all'uovo, babà, brioches, dolci a lunga lievitazione
  • oltre 350W farine speciali: si miscelano ad altre farine più deboli per dolci

Purtroppo questo valore è raramente indicato sulle confezioni di farina nei nostri supermercati, ma sappiate che quelle in commercio in Italia vanno solitamente dai 150W ai 200W.

I lieviti

Il Saccharomyces Cervisiae è il ceppo di lievito utilizzato comunemente per le lievitazione alimentare. Esistono due tipi di lieviti:

  1. lieviti naturali – come il lievito di birra, la pasta madre, il poolish…
  2. lieviti chimici – cremor tartaro e altri in genere composti da una combinazione di un carbonato (bicarbonato di sodio) ed un acido (acido tartarico).

Sono molte le differenze tra le due tipologie, sia dal punto di vista della trasformazione che da quello organolettico del prodotto finale.
I lieviti naturali si attivano nel momento dell’impasto e hanno bisogno di un processo di maturazione lento che si conclude in cottura. I lieviti chimici si attivano con il calore della cottura e sviluppano anidride carbonica sufficiente per gonfiare gli impasti. Comunemente il lievito chimico istantaneo non lascia sapore negli impasti ed è largamente usato nella pasticceria domestica per torte, dolci…

Lievito madre

Il lievito naturale, chiamato anche lievito acido, pasta acida, lievito madre, pasta madre e crescente, è un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici che sono in grado di avviare la fermentazione. A differenza del cosiddetto lievito di birra, il lievito naturale comprende, tra i lieviti, diverse specie di batteri lattici del genere Lactobacillus. La fermentazione dei batteri lattici produce acidi organici e consente inoltre una maggiore crescita del prodotto e una maggiore digeribilità e conservabilità.
La pasta madre ha microflora selezionata ed equilibrio stabile tra lieviti e batteri. Una volta ottenuta, la pasta madre viene tenuta in vita e riprodotta per mezzo di successivi rinfreschi, cioè impasti periodici con determinate quantità di farina fresca e acqua. I microorganismi che la compongono infatti devono essere costantemente nutriti e posti in condizione di riprodursi. La maniera più semplice per tenere in vita la pasta madre è di usarla per fare il pane.
Saccharomyces cerevisiae del lievito di birra agiscono solamente per mezzo della fermentazione alcolica, con produzione di alcol e anidride carbonica, mentre la coltura simbiotica di lieviti e lattobacilli della pasta madre porta anche ad una fermentazione lattica con conseguente produzione di acido lattico e a volte di acido acetico. L'ambiente acido riduce la possibilità di contaminazione da parte di altre specie batteriche non acidofile. L'anidride carbonica prodotta induce la formazione delle caratteristiche "bolle" che caratterizzano l'alveolatura del pane. In questa fase, l'etanolo prodotto durante la fermentazione evapora.
A differenza del lievito di birra, la lievitazione acida è molto più lenta e richiede una lavorazione più complessa.
Di contro però, numerose proprietà positive sono riconosciute alla lievitazione naturale:

  • la proteolisi operata dai batteri lattici comporta una maggiore digeribilità delle proteine;
  • gli aminoacidi rilasciati dalla proteolisi batterica sono molti di più rispetto alla lievitazione con lievito di birra;
  • migliore lavorabilità dell'impasto;
  • colorazione della crosta più scura (gli aminoacidi liberi reagiscono con gli zuccheri nella reazione di Maillard, durante la cottura);
  • aroma più intenso, sapore e fragranza particolari, che dipendono soprattutto dal tipo di fermentazione, dalla presenza di acido lattico e acetico e anche dai ceppi di microorganismi che compongono il lievito;
  • biodisponibilità maggiore dei minerali.

Il pane prodotto con la pasta madre, inoltre, si conserva più a lungo rispetto a quello ottenuto col lievito di birra.

Semi oleosi

A livello nutrizionale sono eccellenti, contengo oli di ottima qualità (mono e poli insaturi), proteine (carenti di un aminoacido, sono da completare con verdure e legumi), sali minerali, vitamine (in particolare E – D) e fibra.
E' consigliabile consumare preferibilmente quelli al naturale e solo marginalmente quelli salati e tostati.
Alcuni vengono decorticati per eliminare la cuticola esterna priva di proprietà benefiche.

Semi di girasole
Contengono acidi grassi polinsaturi, proteine, vitamina B1, B , E, D, magnesio, cobalto, ferro, zinco manganese e rame. (584 calorie – proteine g 31,4 – grassi g 51,1 – carboidrati 0.
Si impiegano in minestre, insalate e per il pane (proporzione del 3 – 4 %).
Sottoposti a una leggera tostatura migliorano notevolmente il sapore (attenzione troppo calore danneggia il grasso contenuto creando perossidi nocivi).

Semi di lino
Sono ricchi di acidi grassi omega 3, proteine, vitamina B1, B2, F, enzimi, fitormoni, pectine e lignani (fibre). Contengono molte sostanze colloidali (mucillagini) ottime per migliorare il transito intestinale.
E sempre meglio macinarli in un macinacaffè e utilizzarli subito per evitare l’irrancidimento dei grassi.
Oppure ammollo di molte ore.
Si impiegano in minestre e prodotti da forno.
Non esagerare con la quantità (massimo 15 g al giorno) perché contengono sostanze con effetti negativi (acido cianidrico).
(373 calorie – proteine g 24,5 – grassi g 31 – CHO g 0)

Semi di sesamo
Si possono trovare bianchi decorticati al naturale e neri (tostati).
Sono ricchi di Calcio (10 - 14 volte di più del latte vaccino), contengono proteine, grassi polinsaturi, magnesio, fosforo, silicio, ferro, zinco, vitamine (B,E,D) e carnitina.
Si impiegano per la preparazione di prodotti da forno, nelle minestre, nelle insalate, per la preparazione del gomasio (10 cucchiai di sesamo leggermente tostato e 1 cucchiaio di sale), del tahin (burro di sesamo). (calorie 631 – proteine g 20 – grassi g 61 – CHO g 12).

Semi di zucca
Contengono proteine, grassi polinsaturi, carboidrati, ferro (15 mg), zinco, fosforo e cucurbitina (vermifuga e secondo alcuni ricercatori (Pedretti e Debuigne) svolgerebbe un utile azione anticancerosa nei confronti dell’ipertrofia prostatica).
Si impiegano in minestre, insalate e prodotti da forno. (calorie 541 – proteine g 25 – grassi g 46 – carboidrati g 18).

I germogli

Il processo con il quale il seme riprende la sua attività è detto germinazione. In questa fase il seme
sviluppa una minuscola piantina, detta germoglio.
I germogli sono un autentico concentrato di energia vitalizzante.
Che cosa accade alle sostanze nutritive del chicco durante la germinazione?
Le vitamine aumentano fino al 100%, (A, C, D, E, K, gruppo B)
I carboidrati come amido vengono trasformati in maltosio, e questo spiega il sapore dolciastro.
Le proteine sono predigerite e sotto l’azione degli enzimi scomposte negli aminoacidi di base, quindi più facili da assimilare.
Anche i grassi sono scomposti in acidi grassi e glicerina, dando luogo alla formazione di glucosio e cellulosa.
Gli enzimi si attivano, i sali minerali (calcio, fosforo, potassio, magnesio, zinco, ferro) e gli oligoelementi divengono più facilmente assimilabili.
Sono più digeribili rispetto ai semi da cui provengono, ma anche molto attivi.
Possono essere usati semi di leguminose, erba medica, di cereali, di crucifere (senape, cavolo, broccoli, rucola, crescione..).
Evitare i semi delle solanacee (patate, pomodori, melanzane) perché ricchi di sostanze tossiche (contenute in misura inferiore nelle piante stesse).
Come prepararli.
Le condizioni essenziali per la germinazione sono fondamentalmente due: primo, la vitalità del
seme che deve risultare vivo e germinabile; secondo, la presenza delle corrette condizioni
ambientali, ovvero disponibilità di acqua, temperatura adatta (20"C-28'C) e presenza di ossigeno.

  1. tenere i semi in ammollo per 12 ore
  2. metterli in un barattolo (*) o negli appositi germogliatori e bagnarli 2 volte al giorno
  3. quando raggiungono la lunghezza di 3 - 4 cm, conservarli in frigorifero per max una settimana.
  4. al momento dell'uso sciacquarli sotto acqua corrente e consumarli

I germogli con piccole foglie (crescione, trifoglio, erba medica, ravanello) possono essere tenuti in un luogo non troppo luminoso per i primi 3-4 giorni ed esposti alla luce indiretta solo dopo il 4 giorno di germinazione per favorire la formazione della clorofilla.
Per i germogli di legumi è meglio farli crescere in un luogo poco illuminato o in completa assenza di luce per inibire la formazione di cellulosa.
I semi di rucola, crescione, lino e basilico e tutti quelli che tendono a formare la mucillagine vanno messi in ammollo solo 15 minuti e richiedono di essere bagnati poco fino a quando non compaiono i primi germogli.
(*) Il metodo del barattolo di vetro per la coltivazione dei germogli è particolarmente adatto ai semi più piccoli come rucola, erba medica, miglio, amaranto, crescione, girasole. I semi possono essere versati nel barattolo e ricoperti da due o tre dita d'acqua (per i semi più mucillaginosi, come i semi di rucola è consigliato molto ammollo da 6 a 12 ore. Il barattolo dovrà essere posizionato al buio, ricoperto da un telo, ma senza coperchio. Trascorso il tempo necessario, la sua imboccatura dovrà essere ricoperta con una retina fine, come quelle che si utilizzano per i confetti, da fissare con un elastico. Così faciliterà le operazioni di risciacquo da effettuare due o tre volte al giorno. La germogliazione avviene in 3-5 giorni.

Bibliografia:

La dieta del metodo Kousmine di Sergio Chiesa Edizioni tecniche nuove
Prodotti naturali dalla A alla Z di Aldo Bongiovanni Edizioni tecniche nuove
Valore Alimentare 18, maggio 07
Il cucchiaio verde
www.lescienze blog di Dario Bressanini