Bombe ecologiche e agricoltura di prossimità

La recente esplosione seguita da incendio alla raffineria di Sannazzaro (a solo due anni dal precedente incendio) pone ancora una volta un problema di non facile soluzione: come conciliare e praticare il sostegno ad una agricoltura di prossimità (che è uno dei nostri valori paradigmatici) in territori altamente inquinati e compromessi.

Secondo dati istituzionali tra le prime sette provincie italiane per la presenza di impianti inquinanti e ad alto rischio ben quattro sono lombarde, senza contare gli aeroporti, le centrali termoelettriche, gli inceneritori, le discariche, i fiumi (alcuni dei quali sono ormai collettori di sostanze tossiche che hanno avvelenato anche le prime falde che servono all’irrigazione agricola), oltre naturalmente all’agricoltura intensiva col suo carico abnorme di pesticidi e fitofarmaci.

Tutti gli studi clinici mettono in relazione una serie di neoplasie con l’ambiente nel quale siamo immersi e con il cibo che consumiamo, per cui penso che oggi non sia più sufficiente la valutazione di un fornitore in base a delle certificazioni che valutano il tipo di agricoltura praticata, ma vada obbligatoriamente considerato anche il contesto ambientale nel quale è inserito.

Solo per fare un esempio a noi vicino, in un raggio di 4 Km attorno all’inceneritore di Borsano sono state trovate nel terreno oltre 200 molecole di materiali diversi, alcune delle quale notoriamente cancerogene, chi si fiderebbe a mangiare prodotti coltivati in quest’area?

Sarebbe però sbagliato escludere aprioristicamente tutte le realtà locali virtuose e collocate in contesti meno compromessi, proprio per dare prospettive di sviluppo a chi ha intrapreso un determinato percorso, con la speranza mai sopita che possa servire da esempio e traino anche per altri, innescando così un processo virtuoso che possa nel tempo portare miglioramenti significativi ai nostri territori, almeno sul piano agricolo.

Pietro